Recensione film- Revolutionary Road

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Era la magia dell’inizio. La trepidante attesa di qualcosa di nuovo ed inaspettato. Il sogno di qualcosa  di eccitante e diverso. Ecco, era questo che animava la giovane coppia. Era stato questo lato misterioso che aveva fatto innamorare April di Frank durante una notte qualsiasi, in mezzo alla folla. Città lontane, mete da esplorare e una vita intera da vivere insieme. 

Questa è la storia di April e Frank. Giovani ed ingenui, avevano sognato non sapendo che questo li avrebbe portati a consumarsi. Non avevano la minima idea che sarebbero caduti nella più temibile delle trappole: la normalità. Frank ed April avevano sognato, ma adesso non sognavano più.

Revolutionary Road è un film del 2008 diretto da Sam Mendes e tratto dal romanzo di Richard Yates. Ambientato nell’America degli anni ’50, vede protagonisti Frank ed April Wheeler (Kate Winslet e Leonardo Di Caprio). 

Lavorava, Frank, come impiegato in un’azienda, April stava a casa. Tutti i giorni si svegliavano, April preparava la colazione, salutava Frank e restava a casa con i bambini. Di tanto in tanto li affidava ad una sua vicina per avere un momento tutto per sè, e.. recitava, per una piccola compagnia. April avrebbe voluto fare l’attrice ma non era andata come sperato. Ecco perché i due non sognavano più. Gli occhi di April avevano smesso di brillare; erano diventati grigi e spenti. Frank aveva smesso di fare promesse, aveva smesso di sperare in qualcosa di meglio. Si erano accontentati di essere come tutti gli altri. Questo sentimento di oppressione viene perfettamente reso dalle ambientazioni: per tutto il film siamo sempre nella loro casa, o in ufficio con Frank, unici posti accessibili che rimarcano l’idea della soffocante routine.

“Per anni ho pensato che noi condividessimo un segreto: che noi due saremmo stati meravigliosi nel mondo.” Ma non era così.

E’ proprio la lite che i due hanno all’inizio del film a farci capire la situazione in cui si trovano: intrappolati. April e Frank sono in trappola. Un lavoro monotono, dei figli a cui badare e nulla di più. Si urlano contro l’un l’altro di non essere felici ed appagati e di non essere soddisfatti della loro vita. Il mattino dopo, come nulla fosse accaduto, inizia tutto da capo. A mio avviso, nessuna scena in questo film è lasciata al caso: di forte impatto e molto significativa è quella in cui vediamo Frank dirigersi al lavoro: è in mezzo a tanti altri uomini che come lui stanno andando a lavoro. Sono tutti vestiti uguali, hanno tutti la stessa espressione sul viso e camminano a passo serrato: è la società di massa dell’America degli anni ’50. E’ la massa di persone che schiaccia l’individuo, privandolo della propria volontà e della propria unicità; privandolo dei propri sogni, del desiderio di emergere ed essere di più. Scena che, quindi, mi ha ricordato molto alcune opere di Munch: angoscia e privazione di personalità, ecco cosa si legge nei volti dei suoi soggetti. 

E poi.. la fuga. Da un lato Frank cerca di trovare un senso di soddisfazione in una relazione extraconiugale con una ragazza che lavora con lui.

“La nostra intera esistenza qui è basata sulla grande premessa che noi siamo speciali e superiori a tutto il resto, ma non lo siamo, siamo tali e quali agli altri. Guardaci, abbiamo accettato la stessa ridicola illusione, l’idea che uno deve ritirarsi dalla vita e sistemarsi nel momento in cui ha dei figli… e ci stiamo punendo a vicenda per questo… è quello che sei che viene soffocato, è quello che sei che viene negato in questo genere di vita” . Queste le parole di April a cui si riaccende una scintilla negli occhi: vuole trasferirsi a Parigi. L’idea allettante del cambiamento: un nuovo inizio, un nuova vita e la speranza di una felicità tanto inseguita. Torna a galla, quindi, qualcosa per cui vale la pena lottare e non arrendersi. 

April e Frank hanno ricominciato a sognare. La musica cambia, in tutti i sensi: se prima eravamo accompagnati da una colonna sonora triste e ridondante, adesso è tutto più allegro e positivo: hanno trovato un’uscita di emergenza dalla trappola in cui erano finiti, o almeno, credono di esserci riusciti. Una citazione di Charles Bukowski descrive perfettamente la situazione in cui si trovano i nostri protagonisti “ora mi sento come se stessi aspettando qualcosa che so che non arriverà mai, perché adoro illudermi, sperare, ti senti più vivo mentre lo fai”. April e Frank stanno sperando, si stanno illudendo e si sentono vivi per questo. 

 Pazzesche, a mio avviso, le due scene in cui marito e moglie si trovano a confrontarsi con il figlio “pazzo” della loro proprietaria di casa, John. E’ pazzo, o almeno dai medici considerato tale, ma l’unico che mette la coppia dinanzi alla verità; una verità scomoda da accettare e da raccontare. E’ il solo a capire che i due stanno scappando, il solo a capire che Frank ha un lavoro che odia e che sono alla ricerca di qualcosa di più.

Ed ecco che l’illusione di Frank ed April volge al termine: tutto quello in cui avevano sperato crolla sulle loro spalle. April è incinta e un altro  figlio significa rinunciare al sogno parigino. “Dimmi che possiamo avere il bambino a Parigi, dimmi che possiamo avere una vita diversa ma non farmi restare qui, ti prego” le parole di April che preferisce abortire piuttosto che restare a New York. Lo sa bene, April. Che non è in grado di sopravvivere lì. Allora, o la sua vita o quella del bambino. 

La vita della donna comincia lentamente a scivolarle dalle mani: il suo volto ritorna grigio e cupo. Tradisce Frank in modo così freddo e distaccato, non muove un ciglio dinanzi alla confessione del marito di essere stato con un’altra donna; non prova più nulla, guarda nel vuoto. Anche quando John si scaglia contro suo marito e suppone che l’abbia messa incinta solo per restare a New York. “Sono contento di non essere quel bambino”, le dice. E in effetti April sa che è la verità. Un bambino che nascerà e crescerà dinanzi all’infelicità di due persone che volevano scappare dalla loro stessa vita. 

E allora April decide di mettere fine alla sua infelicità. Si procura un aborto, che la porterà alla morte. E’ una scena tanto triste quanto risolutiva. Tutto questo non succede in un attimo di follia. Non è una cosa della quale la donna avrebbe potuto pentirsi. Era l’unica via da percorrere: non aveva scelta. Si sveglia, prepara la colazione a Frank e saluta il marito che si dirige al lavoro. In pace con se stessa, tranquilla e sicura lascia quella vita che le aveva procurato tanto dolore. 

Interessante il finale in cui l’anziana proprietaria di casa rimpiazza la coppia Wheeler con un’altra di giovani sposi. E’ come se stesse a significare che la storia si ripeterà. Che è quel posto, quella società, la vita “mediocre” che offre la città a sfinire i suoi stessi abitanti: un circolo vizioso che non ha fine e sopprime chi non riesce a risalire a galla. Frank ci era riuscito. Era risalito a galla e aveva trovato qualcosa a cui aggrapparsi dopo la delusione di Parigi. April no, era affogata, e con lei il suo bambino.

Dopo 11 anni dalla proiezione di Titanic, la coppia cinematografica più amata di tutte torna sullo schermo, più affiatata e in gamba che mai. Magnifica Kate Winslet nei panni di April, questo ruolo le è valso la vittoria ai Golden Globe, e ai British Academy Awards, come migliore attrice protagonista in un film drammatico. Per il povero Di Caprio, invece, nonostante l’eccellente interpretazione di Frank, il ruolo gli è valso soltanto svariate candidature, ma nessuna vittoria.

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Consiglio a chi piacesse il genere drammatico/familiare con una dose di introspezione e riflessione sul proprio io

Sconsiglio a chi non piacessero il genere drammatico, e preferisse i film dai “mille protagonisti”.

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