The Shining Recensione

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Torna come ogni settimana, puntuale come sempre il nostro venerdì horror e questa settimana vi presentiamo un classico dell’horror, che forse molti hanno visto e rivisto, ma altri invece non hanno mai visto. Stiamo parlando di: The Shining.

L’indelebile interpretazione di Stanley Kubrick sia del genere horror che della popolare fiction di Stephen King, The Shining è sia una radicale distillazione delle immagini densamente popolate di fantasmi del romanzo originale, sia una fusione del suo tema centrale nascosto degli orrori della vita reale degli abusi domestici. Il risultato è un film che, sebbene ignori quasi tutti gli episodi principali del romanzo, valorizza tutto ciò che è legittimamente snervante nel libro di King: il ghigno acido di un disperato uomo di mezza età che contempla il suo travolgente fallimento professionale, l’incapacità per le famiglie di perdonare veramente anche violenze fisiche speculativamente accidentali, e la lugubre giustapposizione dell’isolamento dalla neve all’interno di una vasta agorà architettonica, un posto dove puoi nasconderti ma non puoi correre.

The Shining è incentrato sull’ex-alcolizzato Jack Torrance (Jack Nicholson), il già citato fallimento come patriarca, che, come rivela in un momento di rabbia in ritardo nel film, si considera un grande romanziere ma non ha pubblicato nulla a suo nome , incolpando silenziosamente la sua carriera da sogno in stallo su sua moglie Wendy (Shelley Duvall) e il giovane, psichico figlio Danny (Danny Lloyd). (Nel libro, ha perso il lavoro come insegnante quando ha picchiato uno studente.) Quando inciampa in un lavoro temporaneo come custode invernale per un hotel resort Rocky Mountain che, a causa dell’impossibilità di sgomberare la strada durante la stagione nevosa , deve chiudere per un anno e mezzo, vede l’opportunità di, con l’aiuto di sua moglie, mantenere attivo l’hotel mentre passa tutto il suo tempo libero davanti alla macchina da scrivere. 

Ma temi e trama, come in molti film di Kubrick, sono al servizio della forma filmica, non viceversa. In altre parole, i temi di The Shining nascono dalla concentrazione quasi fastidiosa di Kubrick sulla forma.  La cinematografia sfrenata dà l’impressione di slancio anche se i tre personaggi principali si stanno fermando, lasciando che il tedio e il ritiro aprano tutti i risentimenti familiari che li ossessionano. Una prima sequenza colloca Wendy e Danny nelle viscere del labirinto di siepi apertamente junghiano di Overlook. Jack, frustrato trascorre tutto il tempo a scrivere nella hall dell’hotel, lanciando una palla da tennis contro il muro, si avvicina a un modello del labirinto. Un colpo POV dello sguardo dall’alto di Jack si insinua lentamente fino a notare che le due minuscole figure di Wendy e Danny stanno vagando al centro dello spazio. È un’immagine memorabile e riassuntiva per la loro situazione, anche in un presagio di apparente onniscienza.

Gli scatti di tracciamento accuratamente organizzati, perfettamente modificati e le complesse trame musicali di György Ligeti e Krzysztof Penderecki non offrono nemmeno spazio per respirare, e il disorientamento costringe la mente a cogliere la gravità. Una delle mie analisi preferite di The Shiningcontinua a lungo su come l’intero film sia una metafora estesa per il massacro sistematico dei nativi americani. Non so cosa sia più spaventoso: che la chiave per sbloccare la sofferenza delle generazioni lungo la Trail of Tears della nazione è un bicchiere pieno di bourbon (accompagnato dal borbottare sul “peso dell’uomo bianco”, come Jack riflette a Lloyd, il barista fantasma ), che Kubrick si aspetta che il pubblico presti attenzione al logo su una lattina di detergente come metafora cruciale, o che l’intera analisi ben supportata in realtà faccia un sacco di buonsenso.

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Commento personale al film

È l’esperienza più che il contenuto reale di The Shining che irradia terrore freddo e anti-umanamente indifferente. Ma Kubrick si limita a costruire le sue scommesse costruendo delle ambiguità, finendo nell’ultimo punto interrogativo del film di uno scatto (completamente diverso dal finale soleggiato del romanzo di King, che si può sintetizzare con l’autore quando parla contro l’adattamento di Kubrick). Come l’incubo gotico di Resnais, The Shining di Kubrick si colloca ai limiti estremi di ciò che può essere pensato come un film di genere, estendendo la definizione, riempiendola, lasciandola più ricca nella sua scia.

Beh che dire un film horror che fa anche molto riflettere questa settimana, per chi non lo avesse ancora visto è forse arrivato il momento di recuperarlo!!

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